Appello internazionale alla moratoria sulle punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte nel mondo musulmano

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Appello internazionale alla moratoria sulle punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte nel mondo musulmano
mercredi 30 mars 2005, par Tariq Ramadan
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Periodicamente le società abitate in maggioranza dai musulmani e i musulmani del mondo si trovano di fronte alla questione dell’applicazione delle pene del codice penale islamico. Sia che ci si riferisca al concetto di “shari’a” o, più limitatamente, a quello di “hudûd”[1], i termini del dibattito sono attualmente informati da un problema centrale nella discussione tra gli ulamâ’ e/o tra i musulmani : cosa significa essere fedeli al messaggio dell’islam in quest’epoca ? Oltre a quello che viene richiesto nella vita privata, cosa si chiede ad una società che si definisse “islamica” ?

Sappiamo che nel mondo islamico ci sono diverse correnti di pensiero e che i disaccordi, sono molti, profondi e reiterati. Alcuni, una minoranza, esigono l’applicazione immediata, letterale, degli hudûd poiché, a loro avviso tale applicazione è preliminarmente indispensabile per far sì che una “società a maggioranza musulmana” possa essere considerata veramente “islamica”. Altri, a partire dal fatto oggettivo che gli hudûd sono effettivamente nei testi di riferimento (il Corano e la Sunna[2]), ritengono tuttavia che l’applicazione degli hudûd sia condizionata dallo stato della società che dovrebbe essere giusta e per alcuni “ideale” e, pertanto, le priorità siano la promozione della giustizia sociale e la lotta contro la povertà e l’analfabetismo. Altri ancora, anche questi minoritari, ritengono del tutto caduchi i testi relativi agli hudûd e che tali riferimenti non debbano più essere tali nelle società musulmane di oggi.
E’ evidente che i pareri sono diversi e le posizioni sono spesso definite senza poter dire che le rispettive argomentazioni, a proposito di questo tema specifico, siano davvero esplicite ed esplicitate. Mentre scriviamo questo testo, mentre il dibattito di fondo all’interno delle società musulmane è quasi assente e le posizioni rimangono molto vaghe e addirittura confuse, ci sono uomini e donne che subiscono l’applicazione di pene in merito alle quali non c’è unanime consenso tra i musulmani.
Per i musulmani, l’islam è un messaggio di eguaglianza e di giustizia. E’ la fedeltà a questo messaggio che rende impossibile il nostro restare in silenzio di fronte ad un’applicazione così ingiusta dei nostri riferimenti religiosi ? E’ anche perché la parola e il dibattito devono fluire e non accontentarsi di risposte vaghe, imbarazzate e talvolta cervellotiche. Questi silenzi e queste convulsioni intellettuali sono indegne della chiarezza del messaggio di giustizia dell’Islam.
In nome delle fonti dottrinali, in nome dell’insegnamento islamico e in nome della coscienza musulmana contemporanea, ci sono delle cose che devono essere dette , ci sono delle decisioni da prendere.

Cosa dice la maggioranza degli ulamâ’

Tutti gli ulamâ’ (sapienti) del mondo musulmano di ieri e di oggi, e di ogni corrente di pensiero, riconoscono l’esistenza dei testi dottrinali che parlano di punizioni corporali (Corano e Sunna), della lapidazione delle donne e degli uomini adulteri (Sunna), della pena capitale (Corano e Sunna). Si tratta di un contenuto oggettivo dei testi che gli ulamâ’ non hanno mai messo in discussione.

Le divergenze tra gli ulamâ’ e tra le diverse correnti di pensiero (letteralista, riformista, razionalista, ecc.) riguardano soprattutto l’interpretazione di alcuni testi e /o le condizioni dell’applicazione delle pene previste dal codice penale islamico (natura dell’infrazione commessa, testimonianze, contesto sociale e politico, ecc.) o, infine, più ampiamente e più fondamentalmente al loro grado di adeguatezza al tempo che viviamo.

La maggioranza degli ulamâ’, in tutta la storia e fino ai nostri giorni, è convinta che queste pene siano sì islamiche, ma che le “condizioni richieste” per la loro applicazione sìano praticamente impossibili a realizzarsi ( soprattutto per quel che riguarda la lapidazione) : sono pertanto “quasi mai applicabili”. Gli hudud avrebbero soprattutto un carattere “deterrente” il cui obiettivo sarebbe quello di consolidare, nel cuore del credente, la gravità delle azioni sanzionabili con questi castighi.

Leggendo le opere degli ulamâ’, ascoltando le loro conferenze e i loro sermoni, viaggiando nel mondo islamico o stando vicini alle comunità musulmane d’Occidente si ascolterà inevitabilmente e invariabilmente questa formula da parte delle autorità religiose : “… quasi mai applicabile”. Essa permette alla maggioranza degli ulamâ’, e dei musulmani di sottrarsi al nocciolo della questione senza dare l’impressione di non essere fedele alle fonti dottrinali islamiche. Un altro atteggiamento, quello di evitare la questione e/o tacere.

Cosa avviene sul campo

Ci sarebbe piaciuto che questa formula “quasi mai” fosse assunta come una garanzia per proteggere le donne e gli uomini da azioni repressive e ingiuste ; ci saremmo augurati che le condizioni richieste fossero intese come un invito a promuovere l’eguaglianza di fronte alla legge e la giustizia tra gli esseri umani da parte dei legislatori che si riferiscono all’islam. Ebbene, non è affatto così.

Di fatto, dietro un discorso islamico che minimizza i fatti e smussa gli spigoli, all’ombra di quel “quasi mai”, donne e uomini sono puniti, picchiati, lapidati e giustiziati in nome dell’applicazione degli hudûd mentre la coscienza dei musulmani del mondo non si turba più di tanto. Si fa finta di non saperlo, come se si trattasse di tradimenti minimi all’insegnamento islamico.

Ebbene, al colmo dell’ingiustizia, queste pene vengono applicate solo alle donne e ai poveri, doppiamente vittime, e mai ai ricchi, ai governanti e agli oppressori. D’altronde, centinaia di prigionieri non hanno alcun diritto ad una difesa degna di questo nome : sentenze di morte sono decise ed eseguite nei confronti di donne, uomini e addirittura di minorenni ( oppositori politici, trafficanti, delinquenti ecc.) senza che gli imputati abbiano avuto il minimo contatto con un avvocato.
Dopo aver accettato l’evanescenza nella nostra relazione con le fonti dottrinali, ci arrendiamo di fronte al tradimento del messaggio di giustizia dell’Islam.
La comunità internazionale ha, dal canto suo, una grave responsabilità in merito all’atteggiamento sulla questione degli hudûd nel mondo musulmano. La sua denuncia è selettiva e agisce in base al calcolo e alla protezione di interessi geostrategici ed economici : un paese povero, africano o asiatico che cerchi di applicare gli hudûd o la sharî’a dovrà, come si è visto recentemente, far fronte a campagne internazionali di mobilitazione.
Non è la stessa cosa per i paesi ricchi, le petromonarchie, che sono considerati “alleati”, che si denunciano timidamente o non si denunciano affatto, malgrado un’applicazione costante e nota di queste pene nei confronti dei segmenti più poveri e più deboli delle loro società. L’intensità della denuncia è inversamente proporzionale agli interessi in gioco. Un’ingiustizia in più.

L’inclinazione dei popoli, il timore degli ulamâ’

A chi viaggia nel mondo islamico e vive almeno un po’ vicino ai musulmani, s’impone un dato di fatto : la gente manifesta ovunque un attaccamento all’islam e ai suoi insegnamenti. Questa realtà, di per sé interessante e che ogni musulmano percepisce positivamente, può rivelarsi inquietante, e del tutto pericolosa quando la natura di questo attaccamento è del tutto passionale, senza sufficiente conoscenza e comprensione dei testi, con poca o nessuna distanza critica rispetto alle diverse interpretazioni dei sapienti, alla necessaria contestualizzazione, alla specificità delle condizioni richieste, cioè in definitiva alla protezione dei diritti degli individui e alla promozione della giustizia.

Sulla questione degli hudûd, assistiamo talvolta a delle infatuazioni popolari speranzose o esigenti la loro puntuale e immediata applicazione in quanto essa garantirebbe il carattere definitivamente “islamico” della società. Infatti, non è infrequente sentire musulmani e musulmane (più o meno istruiti, e più spesso poveri) chiedere un’applicazione formalista e rigorosa del codice penale (nel loro modo di sentire, la sharî’a) del quale sarebbero le prime vittime. Quando si studia questo fenomeno, si capisce che, generalmente, due diversi ragionamenti motivano tali rivendicazioni :
L’applicazione letterale e immediata degli hudûd, rende legalmente e socialmente visibile il riferimento all’islam. La legislazione, con la sua severità, dà il senso di una fedeltà all’ordine coranico che pretende il rispetto rigoroso del testo. Negli ambienti popolari dei paesi africani, asiatici e persino occidentali, si è potuto constatare che è la fermezza e l’intransigenza nell’applicazione che le assegna una dimensione islamica nella psiche popolare.
Paradossalmente, le critiche e le condanne da parte dell’Occidente alimentano il sentimento popolare di fedeltà all’insegnamento islamico in base ad un ragionamento antitetico, semplice e semplicista : la feroce opposizione dell’Occidente è prova sufficiente del carattere autenticamente islamico dell’applicazione letterale degli hudûd. Alcuni se ne persuaderanno affermando che l’Occidente ha perduto da tempo i suoi referimenti morali diventando talmente permissivo che il rigore del codice penale islamico, che sanziona i comportamenti ritenuti immorali, è per antitesi, la sola vera alternativa “alla decadenza occidentale”.

Questi ragionamenti formalisti e binari sono sostanzialmente pericolosi poiché rivendicano e concedono caratteristica islamica ad una legislazione non per ciò che della giustizia promuove, protegge e applica, ma perché sanziona duramente, e visibilmente, alcuni comportamenti in contrasto e in opposizione con le leggi occidentali vissute come moralmente permissive e prive di riferimento religioso[3].

Oggi ci troviamo di fronte delle comunità o dei popoli musulmani che talvolta s’accontentano di questa legittimazione per sostenere un governo o un partito che richiama all’applicazione della sharî’a intesa come applicazione letterale e immediata delle punizioni corporali, della lapidazione e della pena di morte.

Possiamo osservare una specie di inclinazione popolare la cui prima caratteristica è di rispondere alle diverse frustrazioni e umiliazioni con un’affermazione identitaria che si percepisce come islamica (e anti-occidentale) ma che non è fondata sulla comprensione degli obiettivi dell’insegnamento islamico (al maqasid) né su quella delle diverse interpretazioni e condizioni relative all’applicazione degli hudûd.

In presenza di questa tendenza, molti ulamâ’ rimangono prudenti per paura di perdere credibilità presso le masse. Si può notare infatti una particolare pressione psicologica sull’elaborazione giuridica degli ulamâ’ che dovrebbero essere indipendenti al fine di educare i popoli e proporre delle alternative. E’ invece il fenomeno inverso che ricorre oggi : la maggioranza degli ulamâ’ teme di confutare le rivendicazioni popolari talvolta sempliciste, incolte, istintive e binarie per paura di perdere la loro propria posizione ed essere considerati troppo compromessi, non abbastanza rigorosi, troppo occidentalizzati, non abbastanza islamici.

Gli ulamâ’, che dovrebbero essere i garanti della lettura approfondita dei testi, della fedeltà agli obiettivi di giustizia e di eguaglianza e di un’analisi critica delle condizioni e dei contesti sociali, si vedono trascinati, da un’infautazione popolare poco cosciente e perfino cieca, ad accettare sia il formalismo (applicazione immediata non contestualizzata), che il ragionamento binario (meno Occidente è maggior islam), nascondendosi infine dietro formule che li proteggono senza arrecare soluzioni alle ingiustizie quotidiane che subiscono le donne e i poveri .

Uno statu quo impossibile : la nostra responsabilità

Il mondo islamico attraversa una profonda crisi le cui cause e aspetti sono vari e a volte contradditori. I sistemi politici del mondo arabo sono nella maggior parte dei casi cristallizzati, il riferimento all’islam è quasi sempre strumentalizzato e le opinioni pubbliche sono imbavagliate o ciecamente fanatizzate (al punto di aderire, o addirittura rivendicare l’applicazione più repressiva possibile e meno giusta della “ sharî’a islamica” e degli hudûd.

Nel campo più ristretto della questione religiosa, notiamo una crisi d’autorità che s’accompagna ad un’ assenza di dibattito interno tra gli ulamâ’ delle diverse scuole giuridiche (e di pensiero) e nel seno delle società e delle comunità musulmane. Il risultato è una divergenza d’opinioni che, pur accettata nell’islam, si volge in generale disordine facendo coesistere i pareri giuridici islamici più lontani e più contradditori ognuno dei quali rivendica la sua “natura islamica” ad esclusione degli altri. In presenza di questo caos giuridico, i popoli e i musulmani individualmente, finiscono per essere spinti più da “impressioni di fedeltà” che da opinioni fondate sul sapere e sulla comprensione dei principi e delle regole islamiche (ahkâm).

Bisogna guardare la realtà in faccia. La molteplice crisi dei sistemi politici chiusi e repressivi, dell’autorità religiosa disgregata e dalle contradditorie esigenze e dei popoli poco istruiti e travolti da una fedeltà agli insegnamenti più passionale che ragionata, non può legittimare il nostro silenzio imbarazzato, complice e colpevole quando delle donne e degli uomini sono puniti, lapidati o giustiziati in nome di un’applicazione formalista e strumentalizzata delle fonti dottrinali dell’islam.

Tutto ciò interroga la responsabilità di ogni musulmano del mondo. Spetta a loro raccogliere la sfida della fedeltà al messaggio dell’islam nell’epoca attuale ; tocca a loro denunciare le mancanze e i tradimenti ovunque si consumino e da chiunque perpetrati, individuo o autorità. Una tradizione profetica recita : “Aiuta tuo fratello sia che sia ingiusto o sia vittima di un’ingiustizia”, uno dei Compagni chiese : “Inviato di Dio, capisco di dover aiutare chi sia vittima di un’ingiustizia, ma come potrei mai aiutare un ingiusto ?” Il Profeta (pbsl) rispose : “Impediscigli di essere ingiusto, è così che lo aiuterai”. [4]

Questa è la responsabilità che ogni âlim (sapiente), di ogni coscienza, di ogni donna e ogni uomo, ovunque si trovi. I musulmani d’occidente talvolta si nascondono dietro l’argomento che l’applicazione della sharî’a o degli hudûd non li riguarda poiché non vi sono obbligati “in condizione di minoranza”[5].
Mantengono quindi a quel proposito un silenzio imbarazzato e pesante. Oppure esprimono una condanna a distanza senza cercare di far evolvere le cose e le mentalità. Ebbene, queste musulmane e questi musulmani, che vivono in spazi di libertà politica, che hanno la possibilità di accedere all’istruzione e al sapere, hanno – in nome stesso degli insegnamenti islamici- una responsabilità ancor più grande riguardo al tentativo di riformare la situazione, aprire un dibattito di fondo, condannare e far cessare le ingiustizie perpetrate in loro nome.

Un appello, degli interrogativi

Tenendo conto di tutte queste considerazioni, oggi lanciamo un appello internazionale ad una moratoria immediata delle punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte in tutti i paesi a maggioranza musulmana.

Considerando che i pareri dei sapienti non sono né espliciti né unanimi (senza neppure una maggioranza evidente) relativamente alla comprensione dei testi e all’applicazione degli hudûd e che inoltre i sistemi politici e le condizioni delle società a maggioranza musulmana non garantiscono un trattamento giusto ed egualitario degli individui davanti alla legge, è nostra responsabilità morale e religiosa che si metta immediatamente fine all’applicazione degli hudûd che sono falsamente assimilati alla “sharî’a islamica”.
Questo appello è rafforzato da una serie di domande fondamentali rivolte all’insieme delle autorità religiose islamiche del mondo, qualunque sia la loro tradizione (sunnita o sciita), la loro scuola giuridica ((hanâfî, mâlikî, ja’farî, etc.) o la loro corrente di pensiero (letteralista, salafî`, riformista, etc.) :

Quali sono i testi (e quali sono i loro rispettivi gradi di autenticità riconosciuta), che costituiscono riferimenti per le punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte nel corpus delle fonti dottrinali islamiche limitatamente a quel che gli specialisti chiamano hudûd ? Quali sono i margini d’interpretazione possibili e in merito a cosa c’è stata divergenza (al-ikhtilâf) nella storia del diritto islamico e fino ad oggi ?
Quali sono le condizioni (shurût) stabilite per ognuna delle pene dalle stesse fonti, dal consenso dei sapienti (al-ijmâ’ ) o da singoli sapienti nel corso della storia del diritto e della giurisprudenza islamica (fiqh) ? Quali sono state le divergenze in merito al consolidamento delle condizioni e quale tipo di “circostanze attenuanti” sono state considerate da una qualche autorità religiosa nel corso della storia o nella specificità delle diverse scuole di diritto ?
Il contesto socio-politico (al-wâqi’) è sempre stato considerato dagli ulamâ’ una delle condizioni per l’applicazione degli hudûd ma la sua importanza è tale che questo aspetto esige una particolare attenzione ( e la partecipazione degli intellettuali al dibattito, in particolare quelli che si sono specializzati nelle scienze umane). In che contesto è oggi possibile pensare di applicare gli hudûd ? Quali dovrebbero essere le condizioni richieste in merito al sistema politico e al rispetto della legislazione generale : libertà d’espressione, eguaglianza di fronte alla legge, istruzione diffusa, livello di povertà e di esclusione sociale, ecc. ? Quali sono in quest’ambito i punti di divergenza tra le scuole giuridiche e gli ulamâ’ e su cosa si basano tali disaccordi ?

Lo studio di questi interrogativi deve essere in grado di esplicitare i termini del dibattito per quel che riguarda l’ampiezza interpretativa offerta dai testi e, al contempo una piena assunzione dello stato delle società contemporanee e della loro evoluzione. Questa riflessione intracomunitaria esige una doppia intelligenza dei testi e dei contesti con la preoccupazione di fedeltà agli obiettivi del messaggio dell’islam : in definitiva, ci deve permettere di dare una risposta in merito a quello che è applicabile (e con quali modalità) e ciò che non lo è più (tenendo conto dell’impossibilità di riunire le condizioni richieste e dell’evoluzione delle società che s’allontanano irrimediabilmente dall’ideale previsto).

Questo approccio dall’interno, esige rigore, tempo e la costituzione di spazi di dialogo e di dibattito nazionali e internazionali tra gli ulamâ’, gli intellettuali musulmani e all’interno delle comunità islamiche poiché non si tratta solo di rapportarsi ai testi ma anche ai contesti. In questo lasso di tempo non può essere possibile applicare delle pene che non farebbero che reiterare approssimazioni legali e ingiustizie come già avviene oggi.[6]
S’impone quindi una moratoria per permettere un dibattito dalle fondamenta, che si sviluppi nella serenità e senza mai offrire pretesti alla strumentalizzazione dell’islam.
Bisogna che tutte le ingiustizie legalizzate fatte in nome dell’Islam cessino immediatamente.

Tra la lettera e gli obbiettivi : la fedeltà

Alcuni intendono e intenderanno questo appello come un invito a non rispettare le fonti dottrinali dell’islam. Secondo costoro chiedere un moratoria sarebbe andare contro i testi espliciti del Corano e della Sunna. Si tratta invece esattamente del contrario : tutti i testi che si riferiscono al diritto devono essere letti in funzione delle finalità che li informano (al-maqâsid). Infatti, tra le finalità essenziali e più importanti, si trova la protezione dell’integrità della persona (an-nafs) e la promozione della giustizia (al-‘adl). Ebbene, l’ applicazione letterale degli hudûd, senza contestualizzazione e senza il rispetto delle rigorose e molteplici condizioni richieste, anche se apparisse formalmente fedele agli insegnamenti dell’islam, potrebbe essere, in realtà, un tradimento e produrre, intalune circostanze, una specifica ingiustizia.
Il califfo ‘Umar ibn al-Khattab non decretò forse una moratoria quando, in un periodo di carestia, decise di sospendere l’applicazione della pena prevista per i ladri ?
Il testo coranico è certamente esplicito a riguardo, ma le condizioni della società avrebbero reso ingiusta la sua applicazione letterale : si sarebbero puniti i poveri il cui furto avrebbe avuto il solo obiettivo di tentare di sopravvivere in una situazione di povertà assoluta.
In nome della finalità di giustizia del messaggio globale dell’islam Umar ibn al-Khattab decise di sospendere l’applicazione di un testo : la fedeltà alla lettera avrebbe significato l’infedeltà e il tradimento di quel valore supremo dell’islam che è la giustizia. E’ in nome dell’islam e con la migliore intelligenza dei testi che sospese l’applicazione di uno di questi testi. La moratoria trova in quest’episodio un precedente storico di primaria importanza.
La riflessione e le necessarie riforme nelle società in maggioranza musulmana non potranno che venire dall’interno. Compete alle musulmane e ai musulmani assumersi le loro responsabilità e dare impulso ad un movimento che apra un dibattito e un dialogo intracomunitario rifiutando al contempo che delle ingiustizie continuino ad essere legalizzate e applicate in nome dell’islam, cioè in loro nome.
Una dinamica endogena è imperativa.
Questo non significa che le questioni poste dagli intellettuali o da persone non musulmane debbano essere sottovalutate, al contrario. Tutte le parti devono imparare a decentrarsi e a mettersi all’ascolto dell’altro, dei suoi riferimenti, della sua logica, delle sue speranze. Per i musulmani tutte le domande sono benvenute, sia da parte dei loro correligionari sia dalle donne e dagli uomini che non condividono le loro convinzioni : sta poi a loro farne il fermento e il dinamismo del loro pensiero che, dall’interno, avrà la capacità di esprimere quanto di meglio in merito alla fedeltà e all’esigenza di giustizia dell’islam nel quadro delle esigenze proprie all’epoca attuale.

In conclusione

Questo appello alla moratoria immediata delle punizioni corporali, della lapidazione e della pena di morte è per molte ragioni dovuto. Ci appelliamo alla presa di coscienza di ognuno affinché ci si senta coinvolti dalla strumentalizzazione che viene fatta dell’islam e dal trattamento degradante al quale sono sottoposti donne e uomini in alcune società a maggioranza musulmana, e in un silenzio complice e un generale disordine riguardo ai pareri giuridici su questa materia. Questa presa di coscienza implica :

Ø Una mobilitazione dei musulmani nel mondo che chieda ai governi di decretare una moratoria immediata sull’applicazione degli hudûd e l’avvio di un vasto dibattito intracomunitario (critico, ragionevole e argomentato) tra gli ulamâ’, gli intellettuali, i leaders e le popolazioni.
– L’interpellanza degli ulamâ’ affinché osino infine denunciare le ingiustizie e le strumentalizzazioni dell’islam in merito agli hudûd e che lancino, in nome degli stessi testi dell’islam un appello a una moratoria immediata seguendo l’esempio di ‘Umar ibn al-Khattab.
– Promuovere l’educazione delle popolazioni musulmane affinché vadano oltre i miraggi del formalismo e delle apparenze. L’applicazione di misure repressive e di castighi non rende una società più fedele agli insegnamenti islamici : è invece la sua capacità di sviluppare la giustizia sociale e la protezione dell’integrità di ogni individuo, donna o uomo, povero o ricco, che determina la sua vera fedeltà. Nell’islam la norma è risiede nei diritti che si promuovono e non nelle pene che s’infliggono (le quali non possono essere che eccezioni fortemente condizionate).
– Questo movimento di riforma dall’interno, dai musulmani stessi e in nome del messaggio e dei testi di riferimento dell’islam, non dovrebbe mai sottrarsi all’ascolto del mondo circostante e alle domande che l’islam suscita negli spiriti dei non musulmani : non per appiattirsi sulle risposte “dell’altro” o “dell’Occidente”, ma per cercare, in questo specchio, di restare meglio e più costruttivamente fedele a se stesso.

Noi invitiamo tutti coloro che aderiscono ai termini di questo appello ad unirsi a noi e a far sentire la loro voce, affinché cessi immediatamente l’applicazione degli hudûd nel mondo musulmano e che s’instauri un dibattito di fondo sulla questione. E’ in nome dell’islam, dei suoi testi e del suo messaggio di giustizia che non possiamo più accettare che delle donne e degli uomini subiscano punizioni e la morte in un silenzio imbarazzato, complice e in definitiva vile.

E’ urgente che le musulmane e i musulmani del mondo rifiutino le legittimazioni formaliste degli insegnamenti della loro religione e si riconcilino con la profondità di un messaggio che invita alla spiritualità ed esige l’istruzione, la giustizia e il rispetto del pluralismo. Le società non si riformeranno grazie a misure repressive e castighi ma con l’impegno di ognuno a stabilire lo Stato di diritto, la società civile, il rispetto della volontà popolare e una legislazione giusta che garantisca davanti alla legge l’eguaglianza delle donne e degli uomini, dei poveri e dei ricchi.
E’ urgente dare impulso a un movimento di democratizzazione che faccia trasmigrare le popolazioni dall’ossessione di quello che legge sanziona alla rivendicazione di quello che dovrebbe proteggere : la loro coscienza, la loro integrità, la loro libertà e i loro diritti. L’islam ci invita ad essere fedeli nella coscienza, non nella prigione.

per sottoscrivere, criticare o commentare l’appello

traduzione italiana a cura del collettivo redazionale di www.islam-online.it

[1] Termine che letteralmente significa « i limiti ». Nel linguaggio specifico dei giuristi musulmani (fuqahâ’), rimanda all’insieme delle pene relative all’applicazione del codice penale islamico.
[2] Tradizioni profetiche : testi che riferiscono quello che il Profeta Muhammad ha detto, fatto o approvato nella sua vita.
[3] Nei paesi musulmani stessi, le leggi che si percepiscono come “copiate dall’Occidente” sono spesso interpretate come strumenti utilizzati dai governi dittatoriali per ingannare e oggettivamente legittimare il loro carattere autocratico e l’occidentalizzazione culturale e morale della società.

[4] Hadîth riferito da al-Bukhârî et Muslim.

[5] L’argomento è debole e pericoloso poiché giustifica implicitamente l’applicazione degli hudûd nell’attuale contesto delle società “in terra d’islam”.
[6] I nostri dubbi, in ogni circostanza, devono essere a favore dell’accusato in base ad una regola del diritto universale (in base alle fonti dottrinali, costitutiva fin dall’origine, della tradizione giuridica islamica).

4 Commentaires

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    02/01/2007

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    FARNESINA, BENE DICHIARAZIONE UE PRESENTATA A ONU

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    ROMA, – E’ stata presentata la notte scorsa a New York all’ Assemblea Generale una Dichiarazione sulla pena di morte, predisposta dall’Unione Europea su iniziativa italiana, sottoscritta da 85 Paesi membri delle Nazioni Unite. Il positivo risultato dell’iniziativa europea – sottolineano alla Farnesina – consiste non solo nel numero di Paesi che hanno deciso di sottoscrivere la Dichiarazione, strumento di alto valore politico e civile, ma soprattutto nella presentazione all’attenzione dell’Assemblea Generale delle questioni dell’abolizione della pena di morte e dell’introduzione di una moratoria delle esecuzioni. Il sottosegretario agli Esteri, Gianni Vernetti, ha sottolineato come l’azione del Governo italiano, in linea con gli indirizzi espressi dal nostro Parlamento, sia stata determinante per la presentazione della Dichiarazione e per il raggiungimento dell’elevato numero di firme raccolte che supera il numero di co-sponsorizzazioni ottenute dalla risoluzione sulla questione della pena di morte presentata dall’Unione Europea nel corso dell’ultima sessione ordinaria della estinta Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
    Grazie alla nostra azione ed al supporto dei partners comunitari – si legge ancora nella nota – sono state cosi’ poste le basi per le iniziative future nella prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il coinvolgimento dell’Unione Europea ha avuto l’effetto di accrescere considerevolmente le possibilita’ di successo dell’iniziativa, rispetto a quelle che potrebbe avere la presentazione di un progetto da parte di un solo Stato membro.  »L’Italia – ha ricordato Vernetti – ha sempre svolto un ruolo trainante nella campagna internazionale per l’abolizione della pena di morte. Questo primo risultato positivo ci permette di avviare un’azione ancor piu’ significativa sul piano nazionale ed europeo che consenta di raggiungere le condizioni per fare approvare dalla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, auspicabilmente, una risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte »

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    http://www.santegidio.org/it/pdm/dossier/index.htm->http://www.santegidio.org/it/pdm/dossier/index.htm]

    [http://www.santegidio.org/it/pdm/editoriale.htm

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    PENA DI MORTE. MARCIA DI PASQUA PER LA MORATORIA ONU DELLE ESECUZIONI->http://www.nessunotocchicaino.it/news/index.php?iddocumento=9311361&srcday=0&srcmonth=0&srcyear=0&mover=]

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    2 aprile 2007: l’ultimo Comitato Nazionale di Radicali Italiani ha fatto propria la proposta lanciata da Emma Bonino di una Marcia per la moratoria delle esecuzioni che il giorno di Pasqua, partendo dal Campidoglio e passando per il Quirinale, arrivi a San Pietro, e ha invitato il Sindaco di Roma e il Governo a patrocinare e sostenere l’iniziativa.

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    Il Comitato ha inoltre lanciato un appello ai Sindaci e a tutti i cittadini che negli anni hanno sostenuto la campagna di [Nessuno tocchi Caino->http://www.nessunotocchicaino.it/chisiamo/index.php?idtema=20029] e del Partito Radicale Transnazionale ad aderire subito e partecipare alla manifestazione, affinché sia presentata la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni all’Assemblea Generale dell’Onu in corso a New York.

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    La stessa Bonino, intervistata da Radio Radicale, ha evidenziato come « L’importanza della redazione dei testi e’ fondamentale, perche’ l’impegno era che in questa Assemblea generale si incardinasse questa iniziativa ». E’ quindi necessario che si prepari al piu’ presto la bozza di risoluzione da presentare alla sessione in corso dell’Assemblea generale, tema sul quale e’ in corso da quasi due settimane uno sciopero della fame di Marco Pannella.

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    Bonino ha ricordato che « c’e’ una scadenza il 23 aprile, quando si incontreranno i Ministri degli Esteri dei paesi europei. E quella data non puo’ che essere la scadenza ultima. Per capirci in quella sede non si tratta di ‘fare il punto’ sulla questione, ma di far circolare e far accettare a chi partecipa la bozza della risoluzione. Perche’ quella e’ l’ultima scadenza. Serve – ha concluso la Bonino – una accelerazione dei tempi, perche’ siamo al fotofinish ».

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    (Fonti: Radicali Italiani, Adn, 02/04/2006)

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    [PENA DI MORTE. PRODI, SU MORATORIA E’ L’ORA DI SPINGERE->http://www.nessunotocchicaino.it/news/index.php?iddocumento=9311463&srcday=0&srcmonth=0&srcyear=0&mover=]

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    4 aprile 2007: « Ho promesso e confermo l’impegno mio personale e del governo per spingere affinche’ questa moratoria venga attuata. Sono tanti anni che questo problema viene proposto e non siamo ancora arrivati ad una conclusione. E’ l’ora di spingere”. Cosi’ il presidente del Consiglio Romano Prodi, a seguito dell’incontro con Marco Pannella ed Emma Bonino, svoltosi a Palazzo Chigi e durato circa tre quarti d’ora.

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    Affinché il Governo italiano rispetti i propri impegni presentando la risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni all’Assemblea Generale dell’ONU in corso, Pannella è giunto al quattordicesimo giorno di sciopero della fame.

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    Sempre sul tema della moratoria, Sergio D’Elia è intervenuto in Commissione Esteri della Camera: ‘In queste ore siamo mobilitati a sostegno dell’iniziativa del Governo sull’obiettivo della risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali da presentare in questa sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite’.

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    ‘Lo sciopero della fame di Marco Pannella e la Marcia di Pasqua – aggiunge D’Elia – sono l’aiuto concreto che diamo al Governo. Se vi sono errori e ritardi nella sua azione, noi siamo mobilitati a superarli e a evitarli’.

    ~~

    ‘C’e’ certamente un fatto istituzionale, un problema di rapporti tra Parlamento e Governo, il quale non puo’ continuare – come e’ avvenuto in questi anni anche con altri esecutivi – a non corrispondere con fatti conseguenti ai precisi atti di indirizzo votati all’unanimita’ dal Parlamento. A questo punto – conclude D’Elia – l’unico atto politico decisivo e’ la stesura di un testo di risoluzione e l’avvio immediato da parte del Governo italiano della raccolta firme di co-sponsor della risoluzione stessa’.

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    (Fonti: ANSA, ADN, 04/04/2007)

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    [MORATORIA. PRODI ADERISCE A MARCIA DI PASQUA->http://www.nessunotocchicaino.it/news/index.php?iddocumento=9311866&srcday=0&srcmonth=0&srcyear=0&mover=]

    ~~

    6 aprile 2007: il presidente del Consiglio Romano Prodi ha dato la sua adesione ‘convinta e forte’ alla marcia per la moratoria Onu delle esecuzioni capitali in programma la domenica di Pasqua a Roma.

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    ‘Si tratta – dichiara il premier in una nota – di un’iniziativa importante e non solo simbolica a favore della richiesta di moratoria Onu delle esecuzioni in tutto il mondo, proposta che il Governo ha avanzato da tempo all’assemblea delle Nazioni Unite’.

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    Il presidente del Consiglio indirizza dunque il suo ‘plauso agli organizzatori ed ai tantissimi ministri, politici e cittadini che sfileranno per le strade della Capitale.

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    Manifestazioni come questa – conclude Prodi – rappresentano al meglio la coscienza democratica di un Paese che vuole contribuire attivamente a una convivenza globale di pace’.

    ~~

    (Fonti: ANSA, 06/04/2007)

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    Sito : [Nessuno tocchi Caino – Contro la pena di morte nel mondo

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  3. ~~

    Sito in inglese => Nessuno tocchi Caino – Contro la pena di morte nel mondo->http://www.handsoffcain.info/index.php]

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    Banca dati

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    [LA SITUAZIONE NEL MONDO AD OGGI->http://www.nessunotocchicaino.it/bancadati/index.php?tipotema=arg&idtema=9000659]

    (2 febbraio 2007)

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    Abolizionisti : 91

    Andorra, Angola, Armenia, Australia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bermuda*, Bhutan, Bolivia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città del Vaticano*, Colombia, Costa d’Avorio, Costarica, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kirghizistan, Kiribati, Liberia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia (Ex Repubblica Iugoslava di), Malta, Mauritius, Messico, Micronesia (Stati Federati della), Moldova, Monaco, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nepal, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Romania, Samoa, San Marino, São Tomé e Principe, Senegal, Serbia, Seychelles, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Timor Est, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Vanuatu, Venezuela.

    ~~

    Abolizionisti per crimini ordinari: 10

    Albania, Argentina, Brasile, Cile, El Salvador, Figi, Isole Cook*, Israele, Lettonia, Perù.

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    Abolizionisti di fatto (non eseguono sentenze capitali da almeno 10 anni): 37

    Antigua e Barbuda (1991), Barbados (1984), Belize (1985), Benin (1993), Birmania (1988), Brunei Darussalam (1957), Burkina Faso (1988), Camerun (1988), Congo (1982), Dominica (1986), Eritrea (non risultano esecuzioni dall’indipendenza del paese nel 1993), Gabon (1979), Gambia (1981), Ghana (1993), Giamaica (1988), Grenada (1985), Kenia (1987), Laos (1989), Lesotho (1995), Madagascar (1958), Malawi (1992), Maldive (1952), Marocco (1993), Mauritania (1987), Nauru (nessuna sentenza eseguita dall’indipendenza, 1968), Niger (nessuna esecuzione o condanna a morte dal 1976), Papua Nuova Guinea (1957), Repubblica Centroafricana (1981), Santa Lucia (1995), Saint Vincent e Grenadine (1995), Sri Lanka (1976), Suriname (1982), Swaziland (1982), Tanzania (1994), Togo (1978), Tonga (1982) e Tunisia (1991).

    ~~

    Paesi membri del Consiglio d’Europa, che attuano una moratoria delle esecuzioni e si sono impegnati ad abolire la pena di morte: 1

    Russia.

    ~~

    Paesi che attuano una moratoria delle esecuzioni: 4

    Algeria, Guatemala, Kazakistan e Mali.

    ~~

    Mantenitori: 54

    Afghanistan, Arabia Saudita, Autorità Nazionale Palestinese*, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Bielorussia, Botswana, Burundi, Ciad, Cina, Comore, Corea del Nord, Corea del Sud, Cuba, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Giappone, Giordania, Guinea, Guinea Equatoriale, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Malesia, Mongolia, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Saint Kitts e Nevis, Sierra Leone, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Taiwan*, Thailandia, Trinidad e Tobago, Uganda, Uzbekistan, Vietnam, Yemen, Zambia, Zimbabwe.

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    Fonte: [Nessuno tocchi Caino->http://www.nessunotocchicaino.it/bancadati/index.php?tipotema=arg&idtema=9000659]

    ~~

    In grassetto, le democrazie liberali 1 (11) che mantengono la pena di morte

    ~~

    * Stati non membri dell’ONU

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    1 La classificazione “democrazia liberale” si basa sui criteri analitici usati in Libertà nel mondo 2006, il rapporto annuale di Freedom House sulla situazione dei diritti politici e delle libertà civili paese per paese ([vedi http://www.freedomhouse.org).

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  4. ~~

    ~ ~~~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~~ ~ ~ ~~ ~ ~~~COMUNICATO STAMPA

    ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ 16/11/2007

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    ~~~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~~ ~ ~ ~ ~ ~ ~~ ~ ~ ~ ~ ~ ~Comunità di sant’Egidio

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    UNA TAPPA STORICA PER UN MONDO SENZA PENA DI MORTE.

    NON C’E’ GIUSTIZIA SENZA VITA.

    ~~

    LA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO SULLA RISOLUZIONE
    PER UNA MORATORIA UNIVERSALE DELLA PENA CAPITALE
    ALLA TERZA COMMISSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU

    ~~

    Da Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio
    e coordinatore della Campagna Mondiale
    per una Moratoria Universale della Pena Capitale.

    ~~

    “Un passaggio storico. L’approvazione della Risoluzione per una Moratoria Universale della Pena capitale alla terza Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite segna una tappa decisiva per l’affermazione di una giustizia capace di rispettare sempre la vita, una giustizia senza morte. Il grande numero di emendamenti contrari, le campagne che hanno reso necessari 15 anni per arrivare a questo risultato sono testimoni dell’importanza che la Risoluzione e la sua approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU riveste.

    ~~

    “E’ un contributo decisivo per accelerare un processo che ha già visto dagli anni 90 oltre 50 paesi rinunciare all’uso della pena di morte e il suo uso restringersi in molti paesi retenzionisti, per un accresciuto rispetto della vita umana e per i crescenti dubbi sulla sua efficacia e correttezza nell’applicazione, anche nei sistemi giudiziari più evoluti.

    ~~

    “E’ una vittoria del mondo e della vita, una vittoria della difesa della dignità e dei diritti umani. La Comunità di Sant’Egidio ha lavorato intensamente per questo risultato, da anni, assieme ad altri protagonisti storici della Campagna mondiale, raccolti o a fianco della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte (WCADP).

    ~~

    E’ la conferma di un più alto standard di rispetto della vita umana e di rispetto di una cultura della vita che si fa strada sul pianeta.

    ~~

    E’ stata una strada difficile, contrastata da chi ha cercato di far passare questa decisione storica come un’ingerenza in affari interni dei singoli paesi e come una visione “europea” dei diritti umani.

    ~~

    “I cinque milioni di firme raccolti in 153 paesi dalla Comunità di Sant’Egidio, la creazione di un fronte mondiale interreligioso e interculturale mondiale, resi evidenti dalla consegna avvenuta nelle mani del Presidente dell’Assemblea Generale Srgjan Kerim da una delegazione della Comunità di Sant’Egidio e della WCADP il 2 novembre scorso, all’indomani della presentazione della Risoluzione da parte 37 paesi autori della stessa ,con un numero mai raggiunto di co-sponsors, hanno testimoniato il carattere universale, “cross-regional” del testo della Risoluzione e il cambiato sentire di gran parte del pianeta.

    ~~

    “L’approvazione della Risoluzione per una Moratoria Universale è una proposta a tutti i paesi membri, è un ponte anche verso i paesi che non l’hanno votata e che l’hanno contrastata, per una giustizia capace di combattere il crimine innalzando il rispetto della vita in tutte le circostanze. Permette di fermare un sistema giudiziario che non è mai infallibile. Permette di introdurre misure alternative sempre aperte alla riabilitazione umana, capaci di risarcire la società e di scoraggiare ogni senso di vendetta.

    ~~

    “Non si può togliere quello che non si può restituire. Non si può aggiungere una morte alla morte già avvenuta. Non si può legittimare, da parte dello stato, il diritto a infliggere la morte mentre si vorrebbe sostenere il diritto alla sicurezza della vita. Lo stato e la società civile non può mai scendere al livello di chi uccide. Una giustizia capace di essere sempre dalla parte della vita è la via per riconciliare interi paesi e popoli dopo sanguinose guerre e atroci sofferenze, come mostra la scelta coraggiosa contro la pena capitale di paesi come Ruanda, Burundi, Cambogia, che hanno vissuto un terribile genocidio, come indica il Sudafrica che è uscito dall’apartheid senza pena di morte e indicando la strada di una giustizia senza vendetta.

    ~~

    “Un grande riconoscimento ai paesi che hanno generosamente lavorato, nei cinque continenti, per la Risoluzione, ai governi italiano e alla presidenza dell’Unione Europea, a Messico, Brasile, Filippine, Timor Est, Croazia, Nuova Zelanda, Albania, Gabon e quanti negli ultimi mesi o da anni hanno lavorato ad avvicinare paesi, culture e mondi: Europa e Africa, Americhe, Asia e Oceania. “L’approvazione della Risoluzione rappresenta la vittoria della sinergia tra culture diverse, tra Governi e Organizzazioni non governative. Una vittoria che, per questo, non umilia nessuno, ma segna la strada per un mondo capace di cercare, su questa strada, anche vie più efficaci per una pace senza guerra e senza più necessità di guerra.”

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