Il primo ministro Ehud Olmert ha annunciato che il governo israeliano ha ottenuto ciò che voleva e ha deciso unilateralmente un cessate il fuoco. Dopo una “guerra”, un’offensiva e, in fondo, un massacro durato tre settimane, l’amministrazione israeliana sembra udire le voci di indignazione di tutto il mondo
Il ritorno alla calma non è quindi impensabile, la pace è possibile. Molti analisti e commentatori hanno spiegato i calcoli politici e strategici che si celano dietro questa decisione.
Se le considerazioni umanitarie e il rispetto della vita dei civili avessero una qualche importanza, questo cessate il fuoco sarebbe stato dichiarato da tempo. Dopo il bagno di sangue di Gaza, e fermando unilateralmente la propria offensiva,Israele si prepara, da un lato, ad accogliere il nuovo presidente Barack Obama in posizione di forza, anche se più nel ruolo di aggressore effettivo e, dall’altro, mette i palestinesi in una situazione difficile: questi sono costretti a piegarsi alle condizioni di Israele, perché qualsiasi manifestazione di resistenza li metterebbe nella posizione di aggressori autorizzando Israele a riprendere l’offensiva per “legittima difesa”.
Israele ha lavato l’affronto di Hezbollah dell’estate 2006; ha ristabilito la fiducia degli israeliani nella loro classe politica a un passo dalle elezioni (come dimostra la crescente popolarità del ministro della difesa Ehud Barak) einfine, ha rotto simbolicamente la forza di resistenza di Hamas a Gaza (firmando oltretutto un accordo con gli Stati Uniti contro il traffico di armi verso Gaza): la vittoria strategica sembra totale. Israele è in posizione di forza, “l’autorità palestinese” è messa in ginocchio e la “comunità internazionale” non può che prendere atto del fatto compiuto. Calcoli inquietanti per uno scenario inquietante.
Ma si dovranno comunque fare i conti e fornire delle spiegazioni perché nelle sue ultime azioni militari, Israele ha superato i limiti. Una popolazione rinchiusa in 360 km2, tagliata fuori dal mondo, senza risorse (alimentari, mediche o militari), in balia di un’offensiva feroce e di bombardamenti alla cieca. Le organizzazioni internazionali e i primi soccorsi medici che sono entrati a Gaza hanno testimoniato gli orrori e la portata della strage. Chris Gunness, portavoce Unrwa (Onu), ribadisce la necessità di indagini per determinare se l’esercito israeliano ha commesso dei “crimini di guerra”, ad esempio nel bombardamento alla scuola (ove si rifugiavano dei civili) e all’ospedale di Gaza (di cui gli israeliani conoscevano l’esatta localizzazione su informazione dei responsabili dell’Onu). Bisogna “stabilire delle indagini indipendenti” e “trovare i responsabili”, ripete con determinazione. Bisognerà farlo, senza dubbio.
L’ultima offensiva israeliana, pur intelligente da un punto di vista strategico a breve termine, poteva rivelarsi la più controproducente della storia a lungo termine. Oltre alle tergiversazioni dei governi occidentali e orientali (eccetto Venezuela, Bolivia e sindacati norvegesi), l’atteggiamento dell’opinione pubblica mondiale è cambiato e le tesi israeliane non sono più accettate con la stessa facilità. Si moltiplicano le voci di rifiuto e condanna. Stéphane Hessel – ex deportato, reduce dello sterminio ed ex ambasciatore francese – ha affermato che a lungo termine Israele, che « [egli] ama tanto», si sta scavando la tomba con le proprie mani agendo in questo modo. Basta con l’arroganza, ha detto, occorre rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu e aprire un vero dialogo con tutte le fazioni palestinesi (Hamas incluso, perché pur non riconoscendo formalmente Israele, ha dimostrato di saper essere pragmatico accettando, già molti anni fa, le frontiere del 1967). Israele non potrà nascondersi ancora a lungo dietro a “pretesti” per non fare la pace: che si tratti di Al Fatah, Yasser Arafat, Mahmoud Abbas, Hamas o altri… alla fine, nessun interlocutore ha ottenuto nulla (prima e dopo gli accordi di Oslo).
Tutto è ancora possibile in Medio Oriente, niente è scontato. Mettendo da parte emozioni e desolazione, dobbiamo riprendere la lotta per una pace degna, giusta e duratura. Insieme ad altri intellettuali ho creato il Movimento Globale di Resistenza Non Violenta (tariqramadan.com), per far rispettare il diritto dei palestinesi alla vita, alla dignità, all’uguaglianza e a uno Stato. L’esistenza di Israele è un fatto, non si vuole negarlo. È fondamentale, però, riconoscere il diritto dei palestine si al proprio Stato: si può divergere sulle soluzioni (due o uno Stato bi-nazionale, a mio avviso l’unica soluzione praticabile), ma bisogna essere fermi sul principio di questo diritto. La politica israeliana del fatto compiuto sul terreno rende sempre più difficile l’emergere di uno Stato palestinese.
Dobbiamo dirlo e ripeterlo, rompere il silenzio, opporci all’occupazione, respingere il blocco di Gaza, contrastare la lenta espansione delle colonie di insediamento in Cisgiordania. È il silenzio internazionale che tutto sommato produce la violenza locale: tocca a noi, oggi, cittadini di tutto il mondo, portare avanti la lotta dell’informazione e delle resistenza. Senza usare la violenza, ma con l’arma dell’intelligenza e della critica, e in nome del diritto e della dignità. Quando la guerra non agiterà più le nostre reazioni immediate, il senso di giustizia dovrà risvegliare le nostre intelligenze definitivamente. Ma la vittoria è ancora lontana… non lo dimentichiamo!
SOURCE : Il REFORMISTA