Ramadan, il volto tollerante del Profeta

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Dello studioso musulmano Einaudi manda in libreria «Maometto: dall’Islam di ieri all’Islam di oggi»

    Un’analisi storica che ha una forte valenza politica rivolta al presente


 


Non è facile avvicinarsi ai libri di Tariq Ramadan senza un certo sospetto, causato dal mito che circonfonde la sua persona negli ultimi anni, se è vero che viene da molti considerato il cavallo di Troia del fondamentalismo islamico in Europa, secondo quella doppiezza, dicono, che gli fa mostrare all’Occidente un volto moderato e progressista, ai musulmani invece l’altro più tradizionalista, spinto sino all’integralismo. Vale, però, altrettanto il fatto che Ramadan è al contempo ritenuto uno tra i più validi interlocutori nel dialogo interculturale, il maitre-à-penser di un Islam moderato, un intellettuale capace di presentare la religione musulmana all’interno di un registro sostanzialmente riformista.



Nato in Svizzera da genitori egiziani nel 1962, è nipote per parte di madre di Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, dal quale dichiara tuttavia la sua distanza. Ha compiuto i suoi studi a Ginevra, concentrandosi sulla letteratura francese e la filosofia occidentale, studi che ha completato con una tesi di dottorato sul pensiero di Friedrich Nietzsche – paradossalmente proprio il filosofo che ha teorizzato la morte di Dio -, per poi studiare teologia islamica alla Università al-Azhar del Cairo. Ramadan ha insegnato e insegna in diverse università europee e statunitensi – è visiting professor alla Oxford University – ed è autore di oltre settecento articoli e di una ventina di libri, alcuni dei quali sono stati tradotti in italiano, come il recente «L’Islam in Occidente. La costruzione di una nuova identità musulmana» (Rizzoli 2006), o anche «Essere musulmano europeo» e «Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento musulmano» (Città Aperta, 2002 e 2004).



Ecco: «La nostra lettura delle fonti islamiche, così come quella della nostra storia e delle nostre tradizioni, è indirizzata verso l’individuazione di ciò che ci differenzia dall’Occidente, dall’Altro, piuttosto che verso ciò che la nostra e la tradizione occidentale hanno in comune». Lo ha dichiarato Ramadan in un’intervista a Ian Buruma per il «New York Times», sottolineando come tale interpretazione sia la causa prima dello stato in cui in cui versano oggi i musulmani nel mondo. E’ da queste premesse che prende le mosse il nuovo libro di Ramadan, «Maometto. Dall’Islam di ieri all’Islam di oggi» (traduzione di M. Marchetti, Einaudi, pp.280, 16,50 euro).



La vita dell’Islam, nei suoi episodi salienti, offre al’autore l’occasione per discutere istanze di pressante attualità. Il libro non vuole, infatti, porsi come una nuova biografia di Muahmmad, mentre è pur vero che non si indirizza a specialisti della materia: tanto più che molto di essa è sottaciuto e che le fonti cui lo studioso svizzero attinge sono quelle classiche, ovverosia il Corano, le varie biografie antiche e gli hadìth, i detti del profeta, alle quali aggiunge «riflessioni e commenti indotti dai fatti riportati, e questo sia sul piano spirituale e filosofico sia sul piano sociale, giuridico, politico e culturale».



Tra i vari episodi che Ramadan prende in esame, c’è la celebre battaglia di Uhud, condotta dai musulmani, ormai emigrati a Medina, contro le tribù Quraysh della Mecca, che si risolse in una sconfitta per Muhammad e i suoi, dovuta a una disobbedienza, per brama di profitto, di alcuni combattenti, nonché alla defezione di un gran numero di essi. Lo stesso profeta era stato ferito e i musulmani, tornando sul campo di battaglia per recuperare i loro morti, constatarono come molti di loro fossero stati orrendamente mutilati dai nemici. Tra questi c’era anche lo zio di Muhammad, Hamza, che aveva subito la vendetta di una donna della quale, nella precedente battaglia di Badr, aveva ucciso il padre e lo zio. Alla collera iniziale del profeta fece seguito una rivelazione coranica che ricordava ai musulmani l’importanza della pazienza, della misura e della sopportazione. Da quel momento – scrive Ramadan – egli «avrebbe preteso che venissero rispettati i corpi dei vivi come dei morti, che non fosse mai accettata né favorita alcuna sorta di tortura e di mutilazione, e questo in nome del rispetto della Creazione, della dignità e dell’integrità della persona umana».


Queste parole non possono non ricondurci a ciò che accade, e non solo nelle zone funestate da conflitti, laddove certi crimini sono perpetrati in nome di una religione che è quotidianamente strumentalizzata a fini politici. Il libro diventa, dunque, una vera e propria allegoria attraverso cui, per l’appunto, dentro la narrazione di una vita esemplare Ramadan conduce per mano il lettore, senza tuttavia farvi esplicito riferimento, a questioni come il comportamento nei confronti dei non musulmani, il ruolo della donna, il jihad, l’importanza del legame tra la fede in Dio e la conoscenza, del perdono, della comprensione e del rispetto del prossimo, della condanna degli eccessi anche nella pratica religiosa, con un evidente riferimento ad ogni tipo di fondamentalismo. Ciò che, semmai, si può contestare a Ramadan è una certa tendenza all’agiografia, ma il suo resta sostanzialmente un discorso politico. Quello di un intellettuale che, seppur profondamente radicato nella tradizione religiosa, è disposto a confrontarsi con i valori della modernità. Il problema è che forse noi non siamo a nostro agio davanti a chi ci propone un Islam in questi termini, che non sono di contrapposizione. Quando è vero, invece, che il pensiero comune in Occidente resta quello di ritenere un musulmano buon cittadino delle nostre democrazie soltanto se abdica, il più possibile, alla sua religione.


 


 


 


 


 


 


Source : L’espresso Local

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