Comunicato stampa
E’ sempre molto difficile elaborare una posizione critica su una questione relativa ad Israele, senza vedere i propri discorsi mal interpretati, deformati e spesso traditi. Un’accesa polemica è scoppiata oggi in Italia a proposito della Fiera del Libro di Torino (si sente di tutto e di più) ed ecco che Pierre Assouline dà un resoconto dei fatti nel suo blog (monde.fr) in modo tendenzioso, deformando scientemente, assolutamente e semplicemente i termini del dibattito.
Ricordiamo i fatti. La Fiera del libro di Torino aveva in prima battuta designato l’Egitto come invitato d’onore, poi si è cambiata opinione e scelto di celebrare Israele, poiché quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della creazione di questo Stato. Da ciò è nato un movimento, avviato da partiti politici, personalità e associazioni che militano per i diritti dei palestinesi, che chiede di cambiare l’invitato d’onore della Fiera, poiché, ai loro occhi, è indecente celebrare uno Stato – facendone un « invitato d’onore » – quando il suo governo non rispetta minimamente i diritti umani e umilia quotidianamente il popolo palestinese. Davanti al rifiuto dei responsabili della Fiera di Torino, il movimento ha invitato gli scrittori e il pubblico a boicottarla. Intervistato da una primaria agenzia di stampa italiana su questo « appello al boicottaggio », ho chiaramente sostenuto che non era normale, né umanamente accettabile, celebrare Israele dal momento che siamo a conoscenza della politica che conduce questo Stato e il suo governo nei territori occupati e devastati.
Si è trattato, quindi chiaramente, della questione di criticare la scelta dell’ « Invitato d’onore » e non di impedire agli autori israeliani di esprimersi o anche di dibattere con loro ! La propaganda menzognera si è allora messa in marcia: si tratta di una iniziativa antisemita ! Un rifiuto della libertà di espressione ! O ancora, come scritto da Pierre Assouline, « un boicottaggio degli scrittori israeliani » attribuendomi poi una citazione totalmente inventata. Avrei secondo lui « risposto a La Repubblica :”E’ chiaro che non possiamo approvare nulla di ciò che viene da Israele” » Prima di tutto io non ho mai parlato a qualcuno del quotidiano La Repubblica e non ho mai pronunciato discorsi di tale fatta !!! Ho, invece, detto e ripetuto che tutte le donne e gli uomini di coscienza – e ciò non riguarda solo Palestinesi o Arabi – dovevano, secondo me, boicottare la Fiera (come il Salone di Parigi d’altra parte) di cui l’invitato d’onore è un Paese che non rispetta il diritto e la dignità dei popoli. Ho precisato che il nostro rifiuto di associarci al silenzio complice della scena internazionale era il solo, vero modo di fare cessare la violenza nel Medio-Oriente !
Non è strano, forse, vedere i difensori ciechi della politica israeliana deformare i discorsi, mentire e affermare che una tale posizione è assimilabile all’antisemitismo o al diniego del diritto di parola degli autori israeliani!? Ma chi ha mai parlato di quello ! Rifiutare di « celebrare » Israele e la sua politica di oppressione non ha niente a che vedere con l’antisemitismo o il diniego della libertà di espressione. Dovremmo ascoltare la voce del poeta israeliano Aaron Shabtaï che ha dichiarato di voler boicottare a titolo personale « sia la Fiera del Libro di Torino, che il Salon du Livre di Parigi, non unendosi alla delegazione del suo Paese ». Egli precisa : ”Non penso che uno Stato che mantiene un’occupazione, commettendo quotidianamente crimini contro i civili, meriti di essere invitato a un qualunque evento culturale. Questo è anti-culturale ; è un atto barbaro cinicamente camuffato da cultura. Ciò manifesta un sostegno a Israele, e forse anche alla Francia, che appoggia l’occupazione. Ed io non intendo parteciparvi.”
Si dirà certo che Aaron Shabtaï è affetto dall’ odio per se stesso e questo fa sì che si unisca al partito degli « antisemiti » della terra… Conosciamo già il ritornello. Invece, forse si tratta di semplice buon senso… il silenzio della comunità internazionale davanti al modo di trattare i Palestinesi è già sufficientemente vergognoso, perché non si debba aggiungere l’offesa all’indegnità. Una coscienza umana con un minimo di valori, di principi e di dignità, non può associarsi a questo tributo d’onore ad uno Stato le cui prassi politiche e militari sono un insulto alle nostre coscienze e al nostro onore.
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Radio 24 – Viva Voce
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Ascolta ~ ~ -> [ALLA FIERA DELLA DISCORDIA->http://www.radio24.ilsole24ore.com/Radio/Assets/ram/vivavoce050208.ram]
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Durata : [45:49 min.]
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Ha fatto discutere la polemica nata intorno alla presenza di uno stand israeliano alla prossima fiera del libro di Torino. Alcuni esponenti dei Comunisti italiani e di Rifondazione hanno sollevato una questione di merito, taluni hanno anche invitato al boicottaggio della manifestazione. Alessandro Milan ne parla con alcuni protagonisti dell’acceso dibattito. Gianni Vattimo, docente di Filosofia all’università di Torino, Emanuele Fiano deputato del Partito democratico, Younis Tawfik, scrittore iracheno che vive a Torino e Ernesto Ferrero, direttore editoriale della Fiera del libro…
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Tariq Ramadan ha detto : « …ho chiaramente sostenuto che non era normale, né umanamente accettabile, celebrare Israele dal momento che siamo a conoscenza della politica che conduce questo Stato e il suo governo nei territori occupati e devastati.
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Si è trattato, quindi chiaramente, della questione di criticare la scelta dell’ « Invitato d’onore » e non di impedire agli autori israeliani di esprimersi o anche di dibattere con loro !… »
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[Perché boicotto Israele->http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4107&ID_sezione=&sezione=]
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GIANNI VATTIMO
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Confesso: sono uno dei pochissimi che finora hanno firmato un appello per il boicottaggio dell’invito di Israele come ospite d’onore alla prossima Fiera del Libro di Torino. Se tutti i grandi giornali italiani fanno a gara nel deprecare questo boicottaggio, vuol dire che la minaccia dell’antisemitismo non è poi così incombente. Ma non di questo credo si debba discutere. L’invito a Israele – che, a quanto ne so ma forse sbaglio, ha sostituito improvvisamente quello che era già stato avviato per avere ospite quest’anno l’Egitto – è oggetto di un boicottaggio politico, perché politica è l’iniziativa della Fiera. Chi ci accusa, noi boicottatori, di voler «imbavagliare» gli scrittori israeliani, o è in mala fede o non sa quel che si dice.
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Sono argomenti terribilmente simili a quelli usati nella recente polemica sull’invito al Papa a tenere la lezione magistrale alla Sapienza di Roma: anche qui sarebbe in gioco la libertà di parola, il valore supremo della cultura, il dovere del dialogo. Dialogo? Nel caso della Sapienza, si sa che razza di dialogo era previsto. Il Papa sarebbe stato ricevuto come il grande capo di uno Stato e di una confessione religiosa, in pompa magna, così magna che persino la semplice possibilità di una manifestazione di pochi studenti contestatori a molte centinaia di metri di distanza lo ha fatto desistere dal proposito. Questo caso di Israele alla Fiera è lo stesso.
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Chi boicotta non vuole affatto impedire agli scrittori israeliani di parlare ed essere ascoltati. Non vuole che essi vengano come rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessant’anni di vita festeggiando l’anniversario con il blocco di Gaza, la riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di bantustan nel triste ricordo dell’apartheid sudafricana), una politica di continua espansione delle colonie che può solo comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica. E’ questo Stato, non la grande cultura ebraica di ieri e di oggi (Picchioni e Ferrero hanno forse pensato di invitare alla Fiera Noam Chomsky o Edgar Morin?) che la Fiera si propone di presentare solennemente ai suoi visitatori, offrendogli un palcoscenico chiaramente propagandistico, certamente concordato con il governo Olmert (che del resto sta offrendo lo stesso «pacchetto» anche alla Fiera del libro di Parigi, due mesi prima che a Torino).
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Nei tanti articoli che ci sommergono con deprecazioni e lezioni moralistiche sul dialogo (andate a parlarne a Gaza e nei territori occupati!) e la libertà della cultura, non manca mai, e questo è forse l’aspetto più vergognoso e francamente scandaloso, il richiamo all’Olocausto. Vergogna a chi (magari anche essendo ebreo, come quelli che si riuniscono nell’associazione «Ebrei contro l’occupazione») rifiuta di accettare la politica aggressiva e razzista dei governi di Israele. Chi boicotta la Fiera di Torino boicotta «gli ebrei» (PG Battista) e dimentica (idem) i rastrellamenti nazisti e lo sterminio nei campi. Uno studioso ebreo americano, Norman G. Finkelstein, ha scritto su questo vergognoso sfruttamento della Shoah un libro intitolato significativamente L’industria dell’Olocausto (in italiano nella Bur). Proprio il rispetto per le vittime di quello sterminio dovrebbe vietare di utilizzarne la memoria per giustificare l’attuale politica israeliana di liquidazione dei palestinesi. Nessuno dei «boicottatori» nega il diritto di Israele all’esistenza. Un diritto sancito dalla comunità internazionale nel 1948; proprio da quell’Onu di cui Israele, negli anni, non ha fatto che disattendere con arroganza i richiami e le delibere.
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[A Torino contro la Fiera->http://www.larinascita.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1815&Itemid=66]
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Dare risposta alla decisione scellerata della Fiera del libro di Torino
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(14.1.08) – La scelta di dedicare l’edizione 2008 della Fiera del Libro di Torino ad Israele è semplicemente vergognosa. Credo che sia del tutto inutile usare giri di parole per esprimere quello che si può dire in maniera semplice: scelta “vergognosa”, appunto
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Eppure non sorprende. Sappiamo bene che non sarà la sola iniziativa che dalla prossima primavera proporrà la nascita dello Stato di Israele come momento centrale di dibattiti e iniziative culturali. Siamo pronti ad un vero e proprio bombardamento mediatico. Mentre altri bombardamenti, quelli con le armi, purtroppo li fanno in loco e lo sanno bene i cittadini palestinesi di Gaza e Cisgiordania.
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Israele verrà presentato come baluardo della libertà nella regione e come campione della democrazia. Nessuno invece racconterà dei milioni di palestinesi sradicati dalle proprie case e costretti a vivere da decenni come profughi. Nessuno spiegherà perché 400 mila palestinesi che vivono in Libano non possono ritornare nelle loro terre. Nessuno darà notizia dei cittadini arabo-israeliani che vivono in una sorta di apartheid. Nessun cenno ai piccoli e grandi soprusi quotidiani che l’occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele impongono. Su tutto questo e su molto altro calerà, se mai possibile, ancor di più una cortina di silenzio.
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Per questo la decisione presa dalla Fiera del Libro di Torino è ancora di più vergognosa. La kermesse piemontese avrebbe potuto tenere al centro dell’edizione 2008 le mille sfaccettature e ricadute di quanto avvenne sessanta anni fa. Certamente la nascita dello Stato di Israele, ma anche l’inizio della tragedia palestinese, la nakba. Avrebbe potuto, ma non lo ha fatto.
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Bene quindi tutte le iniziative ricordate da Sergio Cararo nel suo articolo, benissimo le prese di distanza dei Comunisti italiani di Torino. Ma non basta. Credo che i media progressisti, quelli che si sono sempre battuti per le libertà dell’informazione debbano in questa occasione fare la loro parte. Alzare la testa. Noi siamo un piccolo giornale, ne siamo coscienti, ma abbiamo la presunzione di non aver mai abbassato la testa di fronte a questi fatti. Per questo, senza primogeniture di sorta, ma con la convinzione che una risposta sia non solo doverosa ma obbligata, lanciamo un appello a Liberazione, il manifesto, Left, Aprileonline, Radio Città Aperta, Radio Popolare, e a quanti in questi anni non hanno mai smesso di denunciare quello che accade in quell’area del mondo, affinché ci si possa incontrare per organizzare nei giorni della Fiera una grande iniziativa a Torino in grado di mettere al centro quegli aspetti che la kermesse degli editori vorrebbe celare, dimenticare.
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Maurizio Musolino
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[Perchè non parteciperò alla fiera del libro di Torino 2008 di Tariq Ali->http://www.globalproject.info/art-14906.html]
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Giovedì 7 febbraio 2008
traduzione a cura di ISM-Italia
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Quando ho accettato di partecipare alla Fiera del Libro di Torino, come ho fatto altre volte, io non sapevo che ‘l’ospite d’onore’ sarebbe stato Israele nel 60° anno della sua costituzione. Ma questo è anche il 60° anniversario di quello che i palestinesi chiamano la ‘nakba’… il disastro che accadde loro quell’anno, quando furono espulsi dai loro villaggi, uccisi in molti, e alcune donne stuprate dai colonizzatori. Questi fatti non sono più in discussione. Allora perché la fiera del libro di Torino non invita i palestinesi in ugual numero? 30 scrittori israeliani e 30 palestinesi (e vi assicuro che ce ne sono e sono eccellenti poeti e romanzieri) avrebbero potuto essere visti come un segno positivo e di pace e si sarebbe potuto svolgere un dibattito costruttivo. Una versione letteraria dell’orchestra Diwan di Daniel Barenboim, metà israeliani, metà palestinesi. Una tale iniziativa avrebbe messo le persone insieme, ma no. I commissari culturali sanno che cosa è meglio fare. Io ho discusso con vigore con alcuni scrittori israeliani in visita alla fiera in altre occasioni e avrei fatto volentieri lo stesso di nuovo se le condizioni fossero state differenti.
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Quello che hanno deciso di fare è una brutta provocazione.
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Apparirà che la cultura è sempre di più legata alle priorità politiche di USA/EU. L’occidente è cieco alle sofferenze dei palestinesi. La guerra israeliana in Libano, i rapporti giornalieri dal ghetto di Gaza non smuovono l’Europa ufficiale. In Francia, sappiamo, è praticamente impossibile criticare Israele. Anche in Germania, per ragioni particolari. Sarebbe triste se l’Italia scegliesse la stessa strada. Quante volte dobbiamo sottolineare che criticare le politiche coloniali di Israele non è anti-semitismo? Accettare questo significa diventare vittime spontanee del ricatto che l’establishment israeliano usa per mettere a tacere i suoi critici. Ci sono critici israeliani coraggiosi come Aharon Shabtai, Amira Hass, Yitzhak Laor e altri che non permettono che le loro voci siano soffocate in questo modo. Shabtai ha rifiutato di partecipare a questa fiera. Come potrei io fare diversamente?
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Una cosa è sostenere il diritto di Israele a esistere, che io faccio e ho sempre fatto. Ma da questo estrapolare che questo diritto a esistere significhi che Israele ha un assegno in bianco per fare ciò che vuole a coloro che ha espulso e a coloro che tratta come Untermenschen (subumani) è inaccettabile. Personalmente io sono in favore di un unico stato Israele/Palestina nel quale tutti i cittadini siano uguali. Mi si dice che è una utopia. Può essere, ma è la sola soluzione a lungo termine. A causa del contenuto dei miei romanzi mi si chiede spesso (più recentemente in Madison, Wisconsin) se sia possibile ricreare i bei tempi della Andalusia e della Sicilia dove tre culture hanno coesistito per lungo tempo. La mia risposta è la stessa: l’unico posto in cui oggi si potrebbero ricreare quei tempi è Israele/Palestina.
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Noi viviamo in un mondo di double standards (doppi standard), ma non è necessario accettarli. Capita alcune volte che individui e gruppi ai quali è stato fatto del male, lo infliggano a loro volta. Ma il primo non giustifica il secondo. E’ stato l’anti-semitismo europeo che ha tollerato il genocidio ebraico della seconda guerra mondiale del quale i palestinesi sono ora diventati le vittime indirette. Molti israeliani sono consci di questo fatto, ma preferiscono non pensarci. Molti europei considerano i palestinesi e i mussulmani come una volta hanno considerato gli ebrei. Questa è l’evidente ironia nei commenti della stampa e nelle trasmissioni televisive praticamente in ogni paese europeo.
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E’ un peccato che la burocrazia della Fiera del Libro di Torino abbia deciso di fare da mezzano ai nuovi pregiudizi che spazzano il continente.
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Speriamo che il loro esempio non sia seguito altrove.
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5 February, 2008
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Source : [globalproject->http://www.globalproject.info/art-14906.html]
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ISM- Italia
[email protected]
[www.ism-italia.it->http://www.ism-italia.it/] in costruzione
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“Verrà il tempo in cui i responsabili dei crimini contro l’umanità che hanno accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti in questo passaggio d’epoca, saranno chiamati a rispondere davanti ai tribunali degli uomini o della storia, accompagnati dai loro complici e da quanti in Occidente hanno scelto il silenzio, la viltà e l’opportunismo.”
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ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell’ISM.
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L’International Solidarity Movement ([ISM http://www.palsolidarity.org->http://www.palsolidarity.org/]) è un movimento palestinese impegnato a resistere all’occupazione israeliana usando i metodi e i principi dell’azione-diretta non violenta. Fondato da un piccolo gruppo di attivisti nel 2001, ISM ha l’obiettivo di sostenere e rafforzare la resistenza popolare assicurando al popolo palestinese la protezione internazionale e una voce con la quale resistere in modo nonviolento alla schiacciante forza militare israeliana di occupazione.
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“E un’occasione di propaganda, per questo io, israeliano, non sarò al Salone di Parigi”
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Intervista. Il poeta [Aharon Shabtai->http://israel.poetryinternationalweb.org/piw_cms/cms/cms_module/index.php?obj_id=3158] declina l’invito a partecipare all’evento culturale francese e accusa la deriva di destra del suo paese, che solo un intervento dell’Europa potrà arginare
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Per le sue traduzioni dei « Tragici », dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano.
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Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi.
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Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per “J’accuse” – in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese – è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali “dissidenti”.
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Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare “l’apartheid israeliana” a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.
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Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro ?
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Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità.
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Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.
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Qual è l’immagine dell’altro – del palestinese – riflessa dalla letteratura israeliana ?
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Nel sionismo – uno dei frutti del nazionalismo dell’800 – c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza.
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Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda.
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La maggior parte della letteratura “mainstream” completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresentala vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese.
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In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali “per la pace”, ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di 2aggressivo” si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.
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Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi una stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
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Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.
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Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico ?
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Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché – non dobbiamo dimenticarlo – viviamo in Medio Oriente, non in California.
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L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un uovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.
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Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
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Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali – che devono essere liberi – dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.
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Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di “dissidenti” che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia ?
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Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: “Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica”.
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Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso.
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A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.
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Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo ?
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Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà “basta”, perché Israele dipende dall’Europa dagli Stati Uniti.
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Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità.
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La situazione attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere cambiata dall’interno. Per i colori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.
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Michelangelo Cocco
Fonte: Il Manifesto 05.02.08
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[Global Project->http://www.globalproject.info/art-14887.html] Padova – Martedì 5 febbraio 2008
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[Torino/Israele – La Fiera del libro->http://www.globalproject.info/art-14923.html]
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Quest’anno il partner ufficiale della rassegna è lo Stato di Israele
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In quest’edizione della Fiera del Libro di Torino, ospite e partner ufficiale del salone, è lo Stato di Israele.
Alcuni comitati che si occupano del tema della Palestina hanno voluto focalizzare l’attenzione su quello che lo Stato di Israele sta portando avanti: lo stato è responsabile di una politica di segregazione, apartheid e distruzione, di una logica di costruzione di violenza e di determinazione militare nei confronti del popolo palestinese.
La politica di Israele e le sue scelte sono appoggiate a livello internazionale.
Perchè quindi invitare al salone lo Stato di Israele e dargli un riconoscimento?
E’ nata dunque la proposta di boicottare la Fiera del libro di Torino: questo non vuol dire essere antisemiti e non significa contestare la cultura. Gli scrittori che partecipano al salone sono delle persone, e in quanto tali sono in grado di fare scelte politiche ben precise.
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Audio – Global Radio
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Ascolta
-[Il commento di Vilma Mazza,->http://www.globalproject.info/IMG/mp3/vilma_fieradellibroOKxsito-2.mp3] Ass.ne Ya Basta
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Durata : [09:48 min.]
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[Global Project in lingua inglese->http://www.globalproject.info/index-en.html]
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Boicottaggio della Fiera del Libro di Torino
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Questo intervento in merito al boicottaggio della Fiera del Libro di Torino è stato richiesto nella prima metà del mese di febbraio da “La Stampa” a Tariq Ramadan, per dargli modo di esprimere compiutamente le sue posizioni e rispondere alle violente accuse che gli erano state rivolte distorcendo le sue posizioni e il senso del suo appello.
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Dopo un’attesa di quasi due settimane il quotidiano torinese ha proposto a Ramadan la pubblicazione di una versione pesantemente tagliata e in sostanza non consona all’articolazione del suo discorso.
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Il professor Ramadan ha respinto tale riduzione e diffuso il testo integrale del suo intervento.
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[Basta alle strumentalizzazioni, apriamo il vero dibattito->http://www.islam-online.it/boicott_libro.htm]
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di Tariq Ramadan
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Da giorni e settimane i media si sono mobilitati, e talvolta scatenati, intorno alla questione del boicottaggio della Fiera del Libro di Torino che celebra Israele in occasione del suo sessantesimo anniversario. Abbiamo ascoltato di tutto, controverità, falsità e dichiarazioni che hanno seminato la confusione sui termini del dibattito e sulle rispettive posizioni. E’ importante incominciare a chiarire che cosa ho davvero detto e le posizioni che ho preso nelle ultime settimane.
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Non sono stato io a lanciare l’appello al boicottaggio della Fiera e quando sono stato interpellato da un giornalista dell’agenzia ATIC, ho effettivamente appoggiato l’iniziativa affermando che questa celebrazione era inopportuna e provocatoria, che il silenzio della comunità internazionale di fronte alle sofferenze dei palestinesi era insopportabile e che non si poteva accettare qualsiasi cosa dallo stato di Israele (non ho mai detto che “non si poteva accettare niente dallo stato di Israele”: è stata una cattiva traduzione dall’arabo compiuta dall’agenzia ATIC che ha riconosciuto l’errore).
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Boicottare non significa assolutamente negare l’esistenza di Israele : io non nego la sua esistenza, ma mi oppongo alla politica d’occupazione e alle campagne repressive e disumane messe in atto dai vari governi israeliani. Ho combattuto e continuerò a combattere l’antisemitismo e ogni forma di razzismo, non mi stanco mai di partecipare ai circoli di riflessione su queste questioni e ai dibattiti ebraico-musulmani, ma non accetto il ricatto al quale ci sottomettono politici, intellettuali e alcuni media. Confondere la critica allo stato di Israele e alla sua politica con l’antisemitismo è un’impostura intellettualmente disonesta. E’ un’offesa alla coscienza umana e alla dignità dei palestinesi: significa mettersi ciecamente e con arroganza dalla parte dei più forti considerando che la vita dei più deboli non vale nulla e può essere sacrificata in nome del calcolo politico.
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La celebrazione di uno Stato e del suo sessantesimo anniversario – a meno che non ci consideriate degli imbecilli – è un gesto eminentemente politico ed è questo che noi boicottiamo. Non si tratta di negare la libertà d’espressione o la cultura degli scrittori e degli artisti. Gli inviti che sono stati loro rivolti sono benvenuti e io stesso ho sempre partecipato a questi dibattiti (anche se è interessante interrogarsi su questa strana dimenticanza: l’assenza di inviti agli autori israeliani arabi, cristiani o musulmani: che idea hanno gli organizzatori della Fiera della composizione della cittadinanza nella società israeliana ?)
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E infine è stato detto che il mio appoggio al boicottaggio aveva il valore di una fatwa ! Non contenti di aver deformato la mia posizione e le mie dichiarazioni sono andati oltre con l’intenzione di spaventare utilizzando la parola “FATWA” che ricorda la triste storia del tentativo di far tacere Salman Rushdie. A parte il fatto che io ho condannato fin dall’inizio la fatwa contro Rushdie, bisogna dire con chiarezza che il mio appoggio al boicottaggio non è assolutamente un pronunciamento religioso né un provvedimento della legge islamica. Che ignoranza, che strumentalizzazione! Essendo privi di argomenti, i miei avversari mi vogliono demonizzare: “Tariq Ramadan è antisemita e ha lanciato una fatwa!”. Un’affermazione del genere è vergognosa e falsa, indegna di persone che dicono di voler rispettare la cultura e il dialogo. E su questo non voglio aggiungere altro.
Se gli organizzatori della Fiera di Torino volevano aprire un dialogo e dei veri dibattiti tra gli autori e gli scrittori israeliani, palestinesi o più apertamente ancora arabi, non avrebbero dovuto imporre un quadro che altera la natura stessa di questi incontri. E invece tutto quanto non può che essere preso per una provocazione, ragione per la quale io penso che la scelta di Israele come invitato d’onore e del quale si celebra l’anniversario nel momento in cui il popolo palestinese muore a Gaza a causa della politica israeliana è come minimo una gaffe e nei fatti un errore. Questa scelta che si definisce “culturale” riflette esattamente la posizione politica di oggi dell’Europa e dell’occidente: si celebra Israele, si continua ad attizzare la confusione tra critica politica e antisemitismo e soprattutto si tace sull’indegna sofferenza dei palestinesi. Questa scelta “culturale” fa l’eco al “silenzio politico” contribuendo a deviare la questione come sanno fare bene i ciechi sostenitori dello Stato di Israele: lanciamo dei dibattiti “culturali” e facciamo finta di non accorgerci che in questo modo giustifichiamo il “silenzio politico”! Questo uso della cultura è politico e, lo ripeto, bisogna che smettano di prenderci per degli imbecilli.
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E allora, voglio porre una semplice domanda, nel momento in cui l’Iran è lo spauracchio della scena politica internazionale e il bersaglio preferito della bellicosa amministrazione Bush. Gli organizzatori della Fiera sarebbero arrivati fino al punto di invitare l’Iran affermando che si trattava di un incontro strettamente culturale e che i veri invitati sono gli autori e non lo Stato? No, è evidente. Con questo non intendiamo proporre agli organizzatori di invitare l’Iran, ma soltanto a riconoscere il carattere politico del loro invito! Noi opponiamo loro lo strumento del boicottaggio che manifesta chiaramente il rifiuto della violenza ed è – in realtà – l’accettazione del dialogo! Che altri mezzi abbiamo noi? Ho detto e ripetuto che è il nostro silenzio sulla scena internazionale una delle cause della violenza in Medio Oriente: il boicottaggio è uno degli strumenti pacifici per rompere il silenzio, eppure ecco che subito ci viene risposto con una incredibile violenza verbale e moltiplicando le menzogne. Gli intransigenti chiusi al dialogo non sono quelli che si pensa.
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Ho molto apprezzato che il direttore della Fiera Ernesto Ferrero e il presidente Rolando Picchioni mi abbiano indirizzato un appello al dialogo in una lettera aperta. Noi siamo in disaccordo sul senso da dare a questa celebrazione e sulla sua portata politica. Mi viene chiesto di riconoscere la sua dimensione culturale: la mia posizione, secondo loro, equivarrebbe a impedire la libertà di espressione degli scrittori e degli autori israeliani. I due firmatari della lettera mi ricordano che io stesso sono stato invitato alla Fiera e che dunque la mia posizione sarebbe paradossale. Effettivamente io sono stato invitato alla Fiera e ne ho apprezzato l’apertura di spirito e lo spazio del dibattito. L’ho riconosciuto e lo riconosco ancora oggi con forza e con rispetto. Ma ora voglio precisare che avrei partecipato senza alcuna esitazione a dei panels di discussione e di dibattito con autori israeliani su questioni letterarie o filosofiche o ancora, per esempio, sul senso e il diritto di criticare Israele. Sarei stato il primo a rispondere a questo invito e a incoraggiare gli autori arabi, palestinesi, cristiani e musulmani a parteciparvi. Ma una cosa è la libertà di espressione e il dibattito intellettuale in uno spazio libero (come dovrebbe essere la Fiera di Torino) e altra cosa è organizzarlo mentre si festeggia l’anniversario di uno Stato che non rispetta le risoluzioni dell’Onu, pratica gli assassini politici mirati e affama un intero popolo. Mi impegnerei con tutto il cuore in liberi dibattiti, critici e aperti, alla Fiera di Torino o altrove, ma con tutta la forza della mia intelligenza e della mia coscienza mi opporrò alla strumentalizzazione e ai silenzi politici quando alcuni festeggiano e altri muoiono in silenzio e senza dignità.
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